È nato a Spilinga nel 1946, ma risiede a Cirò Marina ormai da parecchi anni. Ha avuto una prima formazione culturale in un collegio religioso, ha quindi proseguito gli studi all'Istituto Magistrale di Vibo Valentia e successivamente al Magistero di Messina, dove ha conseguito lamLaurea in Pedagogia. Si è inserito nel mondo del lavoro come docente, insegnando prima nella scuola elementare e poi nella media. Ha pubblicato sue poesie su riviste letterarie e in alcune antologie. Nel 1980 ha collaborato alla stesura di un volume su Cirò Marina, di cui ricorreva il centenario della fondazione. La sua prima pubblicazione personale risale al 1985: Brandelli di umanità, Ed. Pellegrini, Cs, silloge che riscosso lusinghieri apprezzamenti dalla critica. L'attesa è la sua seconda pubblicazione.




Riflessione sulla silloge di poesie “Grido sincerità e giustizia” di Giacomo Barbalace
Ediz. Tracce, Pescara, dic. 2007
di Giuseppe FEDELE

Ho letto, analizzato attentamente, direi quasi “scrutato” nei minimi particolari e dettagli tutte le poesie della tua ultima pubblicazione e, come promesso, metto per iscritto alcune mie impressioni riguardanti sia la tua poetica sia la simbologia da te usata in alcune poesie.
Di seguito ti espongo il tutto, tenendo presente il consiglio di un grande della letteratura italiana e mondiale, Alessandro Manzoni, ossia essere il più possibile “vergine di servo encomio...”. Ho preferito scrivere queste brevi annotazioni di proprio pugno, come si dice, poiché ritengo che sia un modo per esprimere, oltre a una certa confidenza e familiarità, anche una stima e un rispetto nei tuoi confronti; confidenza, familiarità, stima e rispetto che non potevano essere così intensamente espressi se mi fossi affidato ad un’anonima e inespressiva tastiera di un computer.
Il titolo “Grido sincerità e giustizia” lo ritengo abbastanza coerente con i contenuti e la tua personalità. Spirito introverso, meditativo, acuto osservatore dei mali della società e dei difetti dell’uomo. Concordo perciò con chi, presentando il libro, ha scritto che si nota in quest’opera “coerenza espressiva e di contenuti” e quindi la tua, carissimo Giacomo, non è una poesia “d’ occasione”, ma è una poesia che lascia spazio al “monologo interiore” e alla “denuncia”. Qui l’accostamento ad alcuni grandi poeti “impegnati” è d’obbligo: mi riferisco a Salvatore Quasimodo e a Rocco Scotellaro. Il primo che, superata la prima fase, quella ermetica, passa alla seconda fase cosiddetta dell’impegno civile, vedendo la poesia non come “consolazione” ma come “moto a operare”.Quasimodo infatti è fermamente convinto che, oggi come oggi, compito della poesia, e quindi del poeta, sia quello di “rifare l’uomo”. Egli affermava: “… per quelli che credono alla poesia come un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle speculazioni è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno”.
Il secondo, Rocco Scotellaro, impegnato non solo politicamente, ma anchem e soprattutto socialmente per la libertà e il rispetto dei poveri contadini del Sud.
Tornano in molte tue liriche temi cari al tuo mondo poetico: vedi la funzione della memoria e il ricordo di cose e persone care ( cfr. Volti sorridenti p. 14; Orme sepolte p. 15; Famiglia smembrata p. 18; Emarginati p. 19 ). Torna anche un’aggettivazione a te cara, unita ad una tecnica particolare nell’uso del linguaggio ( cfr. Ammainiamo bandiere p. 40; Non sorride più il cuore p. 41), in cui quello che colpisce il lettore è l’immediatezza dell’immagine e l’uso di un linguaggio “nudo e crudo”, ossia di un linguaggio scarno, essenziale e, volendo usare un aggettivo caro ai critici letterari e artistici, direi “icastico”.
Il tema della “memoria”, che, purtroppo sembra essere smarrita dalla società contemporanea così freneticamente tesa all’inseguimento di una logica consumistica, edonistica, nichilista (vedi a p. 50 La catena delle ingiustizie), dove l’ultimo verso, “viviamo senza memoria”, esprime, a mio avviso, la condizione esistenziale di questa nostra epoca in cui, proprio in base alla logica dell’apparenza, si finisce con l’autodistruzione, in quanto si vive “senza memoria”. Da qui alla dispersione il passo è breve: Dispersione che nasce dall’impotenza di vedersi costretti a combattere contro un “mondo ingiusto” e vedere, metaforicamente, annullati i propri sforzi da un “macigno che resiste alle tue forze” (cfr. Nell’impotenza p. 87).
Altro aspetto importante della tua poetica e, personalmente molto apprezzato, è quello invito prima larvato, poi gridato, al “recupero dell’ascolto” ( cfr. Un punto vivo p. 110; Un soffio leggero p. 111) attraverso il silenzio. L’uomo contemporaneo non sa ascoltare: è questa una verità così lampante che definirei lapalissiana, in quanto l’uomo è travolto dal vortice di una vita assordante, caotica, in cui tutto si svolge in un vortice continuo-brutale-anarchico-nichilista.
Coerenza vorrebbe ce, dopo quanto affermato, la conclusione del nostro discorso sia un pessimismo disperato, ma, e qui entra in gioco la tua visione cristiana della vita, la soluzione prospettata, invece, è quella di abbandonarsi alla Divina Provvidenza perché dia pace al nostro cuore inquieto “ che freme per la vita”, soprattutto ci dia una vita ricca interiormente, “dissipi la disperazione dei passi incerti” e di conseguenza “diffonda luce nel nostro sguardo” ( “diffondi luce nel nostro sguardo” – cfr. Rendici, pietà, al silenzio p. 108).
Mi preme sottolineare la parola “luce”, che qui assume, direi quasi, un significato analogico ed è una delle parole-chiave del tuo mondo poetico. Mi torna in mente una raccomandazione che al tempo dei miei studi collegiali nei Salesiani mi veniva ripetuta spesso: lo sguardo è la finestra dell’anima.
Tornando alla poesia. L’espressione “luce dello sguardo” quindi è simbolo di una nuova vita a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare, una volta liberatisi dalle catene della schiavitù di false ideologie, falsi profeti, falsi idoli.

GIUSEPPE FEDELE

 
Brandelli di umanità
 

Quando un uomo si spoglia di tutti gli artifici e di tutte le maschere che la società, specialmente questa contemporanea, ossessivamente gli propina, allora egli esternamente potrebbe apparire, sentirsi disarmato. Ma la nudità, condizione difficile da perseguire e conseguire, potrà essere un punto di forza se l'uomo saprà farne tesoro per recuperare gli aspetti più genuini e sinceri della propria umanità. Seconda senz'altro questa "nudità", e per riflesso il recupero di quanto è genuino e sincero nella nostra natura, la poesia. L'uomo oggi è mascherato da continue ipocrisie, confuso in mille incertezze, lacerato da attriti feroci; in lui "non si raccolgono che brandelli /solo brandelli d'umanità sincera". Sono questi, però, che lo aiutano a vivere e a sperare. Guai se non ci fossero neanche questi! Il poeta può avere la funzione di coglierli e offrirli alla sensibilità altrui. I versi del presente volume sono affidati al lettore come "brandelli di umanità"; sgorgano da una vita sincera, attingono alla linfa vitale del mio essere più riposto; sono sentiti come parole di sangue e d'amore e restano per me vive, mentre tutto passa e si consuma; sono voce sana di un senso d'umanità che non dobbiamo mai sciupare o peggio calpestare; sono forza viva che zampilla al sole o nella notte più nera per restaurare e ristrutturare il nostro povero essere dilaniato dal tempo, consumato da malinconie arcane, prostrato dagli affanni; sono sacra fonte d'amore da cui attingiamo con arsura, specialmente oggi in cui è più vivo e penetrante il senso delle fratture e dei continui trapassi. Ridotti a brandelli in ogni senso, la poesia ci salda a una voce di ricongiunzione, a una speranza d'unità e d'umanità cercate con la forza dei disperati, decisi a ritrovare un senso in alternativa ai tanti non sensi cui abbiamo spalancato le porte col nostro scavare furioso, incontrollato, caotico, aspro. La pesia ci fa sentire più vivi dentro di noi, d'una vitalità non scomposta e che non sopraffa quella degli altri, anzi si armonizza con quest'ultima, fermentando nella società la coscienza della giustizia e della pace.





Recensioni letterarie su Brandelli di Umanità:

Da Contro Campo - mensile di cultura e spettacolo.
GIACOMO BARBALACE- Brandelli di umanità - Pellegrini Editore Cosenza

Anche la presente raccolta risulta priva di note biografiche e bibliografiche. Non che le citate mancanze incidano sul giudizio critico dell'opera; ma alcune notizie servirebbero a mettere in evidenza la personalità letteraria dell'Autore. Comunque, a lettura compiuta, si può scrivere che l'assunto poetico di Giacomo Barbalace è degno di considerazione. Già l'auto-premessa svela la naturale tendenza letteraria e poetica di un Uomo che, pur nella caotica atmosfera del nostro Tempo, ha colto, come attesta il titolo - "Brandelli di umanità"; per offrirli alla luce dei versi liberi o in rima, i cui sfondi rivelano un vero Conoscitore del valore civile e umanitario della Poesia. Infatti, nella sua Premessa annota: "…/La poesia ci fa sentire più vivi dentro di noi, d'una vitalità non scomposta e che non sopraffa quella degli altri, anzi si armonizza con quest'ultima, fermentando nella società la coscienza della giustizia e della pace. Sull'attuale tema universale della Pace, così bramata e invocata da tutti i Popoli, si legga la composizione "I mendicanti della pace". Nei chiari versi scorrono veritieri e umanitari concetti che fanno onore al Poeta. Sul filo intimistico fluiscono tutte quelle cose che Letiziano o sconfortano la vita di tutti: l'Amore, la vita stessa, la musica, la poesia, i ricordi, illusioni e dolore, cenni profetici, la Morte, ma anche la Natura, sempre amica dei poeti, tant'è che ha inspirato l'invitante " Mattinata primaverile". Umilmente credente, il Nostro tende alla guida divina per giungere alle mete a cui aspira. Ben sappiamo che, oltre i religiosi dogmi, è la Fede che più conta; perciò eccoci un epigrammato colloquio col Supremo: "Dio / tu mi colmi l'abisso/mi soni la luce/mi prendi per mano/mi guidi lontano". Leggendo la copiosa raccolta, via via si comprende che Barbalace è un sincero Cantore del Sud; e come Uomo del profondo Sud "Figlio di una terra generosa" è "sempre pronto a testare le forme ossute delle cose". Con garbato stile. Egli dedica diverse composizioni e alla propria Terra e alle Genti. In riferimento ai ricordi, si legga la bella poesia, a pag. 96. Le nitide immagini proiettano retrospettivi tempi in cui, pur nella dignitosa povertà familiare e ambientale, "…levigando i nostri pensieri d'attesa, Ci accoglieva un tetto insicuro /ma nel cuore regnava la pace". Anche se come segna la chiusa dio questo bel libro "siamo figli incerti/di un tempo annebbiato" si può serenamente affermare che la gradevole Poesia di Giacomo Barbalace è una vera fonte di luce atta a illuminare i nostri animi e anche gli oscuri spazi del presente in cui viviamo.
Tea Ughetti




Da il letterato
Brandelli di umanità, di Giacomo Barbalace.

Acuto interprete del disfacimento dei valori umani, l'autore ne tenta il recupero con una vena aspra ma profonda. La sua poesia è come un cuneo piantato nel cuore dell'uomo, un cuneo che suscita in chi lo esamina una impalpabile sensazione di sgomento. Senso angoscioso, ma fermo della vita, con un'essenzialità di linguaggio che denota una viva coscienza del valore musicale del verso e della parola. Congeniale al tormentato anelito interiore è tuttavia il traboccante misticismo, che conferisce nuova carica vitale alla vena.




Da Calabria letteraria - Nicola Napolitano
Brandelli di umanità, di Giacomo Barbalace.

Le tematiche del volume Brandelli d'umanità mi fanno pensare che l'autore sia abbastanza " maggiorenne " e che abbia già camminato a lungo sulle impietose vie del mondo, vie su cui ha raccolto fra i rovi e gli sterpi queste gemme, questi fiori di poesia, questa sua pensosità così profondamente umana. Ho letto e riletto non so quante volte: " L'uomo oggi è mascherato da continue ipocrisie… lacerato da attriti feroci "; mi sono fermato a riflettere su alcuni versi che maggiormente mi hanno colpito: " Tutti siamo una foglia / che volteggia tremando / tra le spine del bosco "; " ogni bisbiglio / è un acuirsi di pena " ; " ti coprirà la polvere / di un'acre indifferenza " (è una battuta tagliente, penetrante, carica di un realismo sferzante e di una dilatazione fatale e universale); " parte in silenzio l'emigrante / gonfio di ricordi e di lacrime / … " (racchiude in due versi tutto il dramma secolare dell'emigrazione con tutte le sue ansie, le speranze e le frustrazioni che l'accompagnano); " Noi due chi siamo? " (ritornano ancora, senza risposta, le tre domande che la mitica Sfinge rivolgeva al passante); " L'occhio sociale / … / ti guarderà / senza capirti mai " (ha trapassato con un chiodo rovente il problema della solitudine e dell'incomunicabilità. Il pensiero corre a Quasimodo di È subito sera); " Guardare… / l'esistenza / scoprirla nuova ogni giorno: / in un filo d'erba / in una voce bambina / in un sussurro di vento / in un palpito d'amore " (c'è una fusione spontanea e immediata dell'uomo con la natura, con la vita universa: dei sensi, dello spirito, dell'anima); " ove tutto imputridisce nella melma / di assuefazioni assurde e sterili " (è una scalpellatura michelangiolesca!). In alcuni componimenti più validamente riusciti l'endecasillabo è flessuoso, armonioso, suadente; particolarmente vigorosa è la lirica " Un uomo del Sud "; molto incisiva la lirica " I mendicanti della pace "; riposante " In alto " col suo ottonario scorrevole, cantabile, agile, fresco e gioioso, capace di fare da contrappunto alle immagini dolenti così frequenti nella raccolta. Eppure nonostante il dolore, l'amarezza, l'angoscia, la poesia Barbalace non è una poesia di pessimismo o disperata, ma è una poesia di speranza, una speranza forte, virile profonda e profondamente umana, una speranza che si colora e s'irrobustisce nel concetto più alto e più autentico del Cristianesimo: la Redenzione. Si avverte, nei suoi versi, sotteso o scoperto, questo insopprimibile anelito a risalire dalla melma verso le sorgenti, ove l'acqua diventa limpida luce e il frastuono diventa carezzevole canto primigenio della natura. Emana da questo libro l'energia dello scuotimento, della scrollata che L'" io " del poeta dalle radici del suo essere ha inteso dare all'umanità ridotta a brandelli e scivolano sulla pagina versi che con sintesi vigorosa scolpiscono millenni di ingiustizie e di sofferenze, di delusioni e di frustrazioni, di disperazione e di disperate speranze per le quali si continua a sperare in questo nostro deriso, trascurato, schernito e sfruttato Sud: ipocrisia e indifferenza si annidano e serpeggiano e operano nella volontà dei potenti che detengono il potere. E nasce qui la piaga dell'emigrazione, l'angoscia del povero emigrato del Sud, spinto da una fatalità senza volto ad abbandonare i suoi affetti e le sue radici, per andare incontro all'ignoto, lacero, inerme e spaurito, mentre i politici di turno si affacciano ilari al video ad ammannire discorsi mielati di rosse promesse. Accorati, decisivi, toccanti o indimenticabili nelle cadenze e nelle immagini i primi quattro endecasillabi di " Dal profondo Sud ". Accanto a questi temi, nella silloge ne emergono altri, un'ansia di purificazione e di resurrezione: dal buio della notte si aspira, si attende l'alba, l'aurora. In altri versi il poeta sa trasfondere una tipica delicatezza di sentimenti, sentimenti che sono bocciuoli e fiori di gentilezza, di semplicità e di innocenza, soffusi dalla chiarità solare dei nostri cieli del Sud. Ed ecco " Vagheggiamento ", " Fragilità ", " In alto ", " Mattinata primaverile ". In altri componimenti coglie con animo disincantato, non scevro di una venatura di stupore, la fragilità e la fugacità del nostro essere, l'imperscrutabilità del nostro nascere e morire, del nostro fatale andare e dell'arcano e insondabile nostro soffrire, della nostra ancestrale e inguaribile insoddisfazione " al ciglio del tempo ".




Da il Tizzone
Recensioni di Guerino D'Alessandro
Brandelli di umanità, di Giacomo Barbalace.

Poesie brevi ma concettose, un po' come le scaglie poetiche alessandrine antiche. Regna in queste liriche l'inquietudine per il senso dell'inconscio della realtà oggettiva, che incide profondi solchi nell'intimo dell'anima "consumata ed ingiallita" dal coacervo delle imbecillità umane, solchi che rendono gli individui sordi ad ogni sentimento di sincerità e di solidarietà. L'uomo si spoglia della sua natura per indossare grottescamente una maschera estranea (cfr. pensiero di Rousseau e di Pirandello). Come in Angelo Nese, l'uomo stesso vive nell'incertezza, nel dubbio, nel dolore del consumarsi senza essere umanamente vissuto, anzi sprecando e calpestando ogni valorw spirituale. E, sotto tali aspetti, la poesia di Barbalace, che fa onore alla Calabria, è valida, acuta e sincera. Per l'Autore l'unico rifugio sicuro diviene a questo punto la Divinità come conforto ed usbergo al dolore umano. E' un flusso di coscienza in funzione dell'arte. Questa poesia crea ed espone concetti che sono in lui particolari stati d'animo, ma sono e divengono stati d'animo universali, per quel senso di sconforto che si sta estendendo a macchia d'olio in tutte le coscienze.

La sua poesia tratta da Brandelli di umanità è stata pubblicata su: L'autore N° 6 Almanacco.

 
L'ATTESA
POESIE DI GIACOMO BARBALACE

 

La poesia di Giacomo Barbalace svela il senso della vita o le idee sulla vita nella sua semplicità, vale a dire nel suo massimo di umiltà o in ciò che rende umano l'uomo. La memoria, il paesaggioo e la tradizione racontano il brusìo della vita. Quella musica prima che è il ritmo del cuore, il respiro, il camminare nei piccoli-grandi incidenti della vita, il dolore, la gioia di esistere. La poesia diviene pertanto sfida e bilancio. Essa prende forma nel momento in cui rinuncia alla morte ed accetta la caducità dolorosa della vita, ma anche il suo slancio nella metrica piò o meno esplicita. In altre parole prevale un'esperienza poetica in cui avvengono eventi decisivi, la tentazione, la caduta, la redenzione, momenti di eterna scelta. Dinanzi al misticismo, all'isolamento, all'orgoglio e al terrore religioso dell'uomo contemporaneo, la parola poetica tenta aperture improvvise di canto, subito soffocate. I momenti creativi, le immagini nuove denunciano il disagio di quanti vivono la desolazione di essere sradicati dalla società. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno. Il poeta attraversa i miti contemporanei, ritagliandosi in un angolo della memoria un paradiso nostalgico che è quello della propria infanzia. Ed il ricordo dell'amore materno, assoluto e puro, diviene struggente nell'attesa di qualcosa che rassicuri e liberi dalle ambasce della vita quotidiana. Ma la consapevolezza della propria e altrui impotenza alimenta un pessimismo che riverbera di suoni, nomi e parole. L'inquietudine esistenziale di Barbalace non si placa nell'accertamento dei temi a lui più consoni ed adatti. La vivacità psicologica del poeta si evidenzia soprattutto nel continuo tentativo più o meno consapevole di rinnovare il repertorio stilistico. Ne emerge un rapporto melodico tra narrazione e sonorità come a volere bilanciare gli effetti corrosivi di un tempo che sfalda il prima e il dopo. La poesia arriva, così, a pochi passi dall'inesprimibile, lasciando intravedere il mondo oscuro e angoscioso del sogno o di ciò che tende a confondersi con la realtà, divenendo essenzialità espressiva, voce interiore di un dolore mai sopito, biografia intima, diario spirituale.
Maria Antonietta Cruciata

 
Il raggio di una Luce
POESIE DI GIACOMO BARBALACE

 

Dall’ Introduzione a “Il raggio di una Luce”

Più di una volta ho pensato di selezionare dal mio “Diario spirituale” alcune poesie/preghiere e darle alla pubblicazione, ma mi sentivo titubante. L’ impulso di darle alle stampe e al pubblico, però, è stato più forte di me. Non so cosa ci sia sotteso. Forse tante cose, non ultima quella di comunicare la mia fede: dire che non mi vergogno di essere cristiano, confidare a chi mi leggerà che il mio pessimismo umano è illuminato da una Luce, sorretto da una Grazia che restano in me ferme e vive.
Il mio Dio, per chi leggerà questa silloge, non è un Dio scontato, ma neanche un Dio eluso o peggio negato (Dio si fa trovare da chi lo cerca / Dio non si fa trovare da chi lo tenta). E’ un Dio velato che si svela in Gesù Cristo incarnato, crocifisso, morto e risorto. E’ un Dio velato nella carne, ma che si svela nello Spirito. E’ un Dio che si dona con e per amore per darci la forza di fare altrettanto.
E’ un Dio presente /assente che richiede una fede totale, incondizionata, come quella di Abramo e Maria. E’ un Dio che ci chiede di vivere senza rete protettiva (le nostre false sicurezze), di mettere la nostra vita nel suo disegno, ch’è disegno di amore e di bene, nelle sue mani energiche di padre, tenere di madre.
Auguro che il presente lavoro susciti la fede in qualcuno, scuota in qualche altro la sua fede Intorpidita o “rivestita” di tante maschere che non hanno nulla a che fare con la fede autentica, e scuota in qualche altro la sua coscienza “tranquilla”.
Come possiamo lavarci le mani di questa umanità dolorante di cui ci sentiamo carne viva? Gesù Cristo, Dio incarnato, crocifisso, morto e risorto non se le è lavate. E’ entrato nella nostra storia e ci ha dato l’insegnamento, l’esempio, ma soprattutto la forza per non lavarcele con il nostro egoismo e la nostra indifferenza, per vivere la vita come dono di amore per gli altri (Amatevi come io vi ho amato).

L’ AUTORE



Uscire

E’ l’ora di uscire,
ma si sta dentro
interrati come talpe,
gli occhi serrati alla luce
il ventre gonfio di terra,
premuti dall’angoscia del domani.

I fili d’erba tremano al sole
nella libertà del vento,
ma i lacci della morte sono tesi
e stringono il cuore,
non lo fanno rinverdire alla speranza
della tua risurrezione.
Quanti voli tentati,
ma pesa la carne
come macigno di controsensi.

E’ l’ora di uscire, Signore,
ma stiamo murati nell’incertezza
a guardare questo mondo
irretito negli inganni
di un falso benessere,
nutrito di egoismi e d’orgoglio,
votato alla violenza.

Il tuo fuoco punge
la nostra indolenza,
brucia la nostra impotenza.

E’ l’ora di uscire
dalla nostra coscienza
inquinata appestata malata
per dare la vita a chi soffre.

E’ l’ora di Cristo Risorto.




Dalla Prefazione di Giuseppe Fedele

“….tre sono gli elementi caratterizzanti la poetica di G. Barbalace. In primo luogo un pessimismo “cristiano”(…….)mitigato dalla certezza che al di là di questa vita terrena c’ è Dio pronto ad accoglierci nel suo regno.(……) In secondo luogo, una continua ricerca di Dio; infine la Presenza costante della Croce, simbolo di redenzione e non di oppressione.
Leggendo le poesie di Barbalace il lettore si trova di fronte a un’ eco di situazioni profonde dell’anima che anela profondamente a Dio.






Una Luce resiste
Tutto ristagna nel cuore
s’ingrigia nella mente,
ma i silenzi urlano d’ attesa.
L’aurora tinge di rosa,
di un barlume di speranza
i nostri volti stanchi,
ma avanza l’incertezza del futuro
che si fa sempre più duro.
Si annidano e attorcono serpi
Nelle tane del nostro perbenismo
che puzza di menzogne.
Una madre grida il suo dolore
sul figlio morto ammazzato
dal mitra della legge
che non sempre ci protegge.
Guardi in silenzio questo mondo gramo
fatto di terra e di sangue.
E, mentre il cuore langue,
senti che una luce resiste
nel buio del nostro squallore.


 
“Grido sincerità e giustizia”
Silloge di poesie

 

La silloge “Grido sincerità e giustizia”, da me recentemente pubblicata con l’Editrice Tracce, Pescara, ingloba poesie che si riferiscono a un vasto lasso di tempo. La maggior parte di esse, però, è nata negli anni Settanta, i cosiddetti anni di piombo. Senza dubbio tali poesie risentono del clima di quel periodo, non perchè inducono al fanatismo ideologico che imperversava ed è poi sfociato, purtroppo, nelle violenza politica terroristica, ma perché esprimono quel disagio, quell’indignazione, l’ anelito alla libertà e alla giustizia sociale, lo smascheramento di tante ipocrisie di cui era ( ed è ancora ) incrostata la società; perchè muovono alla riflessione sulle condizioni di una società irta di contraddizioni. Quindi il corpo centrale della silloge richiama quel periodo, ma va oltre. Anche se le poesie attingono a quell’ humus culturale e sociale contingente, si innalzano su una riflessione esistenziale sull’uomo in quanto uomo, senza aggettivi di sorta.
Le poesie sono state disposte non in ordine cronologico, ma raggruppate nelle seguenti “aree tematiche”: Ricordi e affetti; Società e giustizia; Sincerità; Mistero e angoscia; Fede. E’ stato fatto ciò per facilitarne la lettura e dare ad esse, a posteriori, un filo non solo logico, ma anche esistenziale.
Risaltano temi già presenti nelle altre sillogi pubblicate, ma si è dato largo spazio a poesie ispirate da fatti contingenti e che potrebbero sembrare datate, ma che invece inducono alla riflessione sulla nostra società che mai come oggi si muove in un groviglio di tante contraddizioni dalle quali sembra difficile uscire.
La memoria, che è stata sempre “strumento e luogo” privilegiato della poesia (Leopardi docet), fa affiorare dalla stratificazione della nostra coscienza o dall’inconscio ricordi dolci o amari, legati in particolar modo a circostanze e a persone care. L’emigrazione/immigrazione, che con lo smembramento di tante famiglie si porta il suo strascico doloroso di sradicamento, di precarietà, di difficoltà a reintegrarsi nel nuovo tessuto sociale , è sempre presente, in modo diretto o indiretto, nelle mie poesie, sia perché sono un uomo del Sud sia perché questo doloroso fenomeno l’ho vissuto concretamente sulla mia pelle con la partenza per l’Australia di tutta la mia famiglia.
In alcune poesie affiora il rimpianto di una vita più genuina, più sana e fondamentalmente onesta; di una vita più a misura d’uomo. Questa è contrapposta a quella attuale frenetica e alquanto mistificata, anche per il concorso del predominio delle immagini, che facilitano l’esibizionismo a tutti i costi, e per lo smisurato sviluppo tecnologico non sempre utilizzato bene. E’ sottesa, in gran parte della silloge, una coscienza sofferta del trascorrere implacabile del tempo che tutto travolge impietosamente e fa scempio di tante nostre illusioni e conquiste “durature”. Il senso della precarietà e dell’incertezza del presente, soprattutto per le nuove generazioni che, considerando come va il mondo, non riescono a guardare fiduciosi al futuro, è palpabile non solo nei miei versi, ma anche nell’aria che tira. In parecchi versi si fa sentire la dura condizione degli emarginati, che diventano lo scarto sia della nostra società opulenta e consumistica sia di Governi spesso disattenti agli ultimi. Da qui parte un forte anelito alla giustizia e a un mondo più equo da parte di tanti esclusi dal banchetto della vita ( ricordo, a tal proposito, due poesie che mi hanno particolarmente colpito: “Il mondo ha un occhio solo” di Giovanni Arpino e “Almeno l’amore fra voi…” di Davide Maria Turoldo). Le contraddizioni di un sistema sociale in grande misura corrotto, (corruzione che parte dai vertici e si dirama, come metastasi, fino alla base: è inutile che ce lo neghiamo o faccimo finta di non vedere), sono agli occhi di tutti . Tale problema non si risolve, a mio avviso, puntando il dito solo contro una determinata categoria di persone(per esempio i politici), anche se è necessario denunciare senza mezzi termini chi ruba, imbroglia e corrompe, a qualunque classe sociale o politica appartenga. L’inquinamento morale, ancor peggiore di quello ambientale, contagia un po’ tutti; contagia a tal punto l’uomo, che vive in questa società impregnata di corruzione ( “compro-messo capillare basato sull’illecito”), tanto che egli si sente come impantanato nelle sabbie mobili dalle quali gli è difficile uscire, se non c’è in lui un autentico rinnovamento interiore; e questo, nella stragrande maggioranza delle persone, stenta a manifestarsi. Le leggi esterne servono a poco, se l’uomo non le interiorizza e non sente la convinzione, la motivazione e la forza di osservarle in vista di un bene comune che poi, in fondo, ha una ricaduta vantaggiosa e benefica su lui stesso. La fede, vissuta come dogmatismo e fanatismo, porta all’autoritarismo, all’oppressione e può sfociare, come purtroppo è accaduto nella storia e accade tuttora, nella violenza e nel terrorismo; ma anche il relativismo etico può inquinare a tal segno il tessuto sociale tanto che ognuno, facendo quel che vuole e che a lui piace, in nome di una malintesa libertà, calpesta i diritti e la dignità di altre persone. Nasce da qui l’impellente necessità di una fede non solo proclamata, ma autenticamente vissuta (come si spiega che in un Paese in prevalenza cattolico (e non solo nel nostro) succede quel che succede?); nasce l’improrogabile necessità del dialogo tra credenti e non credenti per individuare principi universali e valori comuni condivisi, che servano da collante al nostro tessuto sociale, oggi così sfilacciato e lacerato. E’ necessario riscoprire e fare riferimento a valori non negoziabili, come il rispetto della vita, la libertà, la giustizia sociale, la solidarietà verso le fasce sociali più deboli(bambini, disabili, anziani,…), la salvaguardia del nucleo familiare, l’attenzione alle nuove generazioni che si affacciano nella società e rappresentano il nostro futuro, ……… E’ vero che l’uomo, nonostante i grandissimi progressi della scienza e della tecnologia, si sente impotente davanti ai cataclismi della natura che periodicamente piombano su di lui all’improvviso e gli incutono terrore, angoscia e disperazione, ma è ancor più vero che tanto male se lo provoca lui stesso; e per quest’ ultimo si sente ancor più umiliato e avvilito. Il senso della solitudine e dell’incomunicabilità oggi è molto diffuso, nonostante l’enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione (telefoni, TV, informatica, mezzi veloci per spostarsi da un luogo all’altro,…). Questi mezzi, utilizzati male, hanno favorito la corsa all’apparenza, in nome della quale , a volte, si perde la propria dignità e decenza umana. Il senso della morte, che sta sempre in agguato e che è da stolti eludere, nonostante gli enormi progressi della medicina, ci induce a tenere davanti a noi sempre presente la nostra finitudine e a piegarci umilmente con spirito di solidarietà sulle sciagure e i dolori umani per alleviarli, mai per inasprirli.
Il progresso materiale è vissuto come falso progresso civile e umano, quando manca un’autentica attenzione agli ultimi da parte di chi ha potere e guida le società; e questa disattenzione, che purtroppo c’è, allarga a forbice il divario tra i ricchi e i poveri (più aumenta il benessere materiale e ancor più aumentano i poveri, invece dovrebbe accadere il contrario).
Predomina, poi, in tanti la superficialità, quando ci facciamo condizionare facilmente dalla propaganda pubblicitaria di gruppi di potere che ci manipolano come vogliono, se non siamo culturalmente attrezzati (e sappiamo che molti non lo sono). La superficialità ci porta alla dispersione che ci fa vivere come isole, divisi all’interno della società, delle famiglie, della nostra stessa personalità. La violenza assume multiformi aspetti e ci contagia un po’ tutti e colpisce specialmente i soggetti più deboli e indifesi. Il senso dell’attesa è legata sia a momenti contingenti sia alla nostra costituzione esistenziale. Un indefinibile ma persistente soffrire come “male di vivere” non ci abbandona mai per tutto il nostro percorso esistenziale. Sgorga dal cuore più che dalla bocca la denuncia contro le ingiustizie e il cinismo dei furbi disonesti che si avvantaggiano illegalmente e spudoratamente, rendendo la vita dei poveri ed emarginati sempre più povera e misera; insopportabile. L’insofferenza verso le mistificazioni e le ingiustizie si tramuta, da un lato, in grido contingente per i fatti concreti, ma, dall’altro lato, anche in grido esistenziale, perché rivolto contro qualcosa d’indefinibile e d’impalpabile dentro cui siamo tutti avviluppati, dentro cui è avvolta e si agita la nostra natura umana dolente. Questo grido si manifesta come protesta viscerale da parte di chi si sente schiacciato ed emarginato dai tanti disonesti che continuano indisturbati a sguazzare nel fango, ma la protesta può sfociare (e a volte sfocia) nella violenza distruttiva e insensata del terrorismo. La società globalizzata, che diventa come una massa caotica, invece di unirci e renderci più solidali, ci fa diventare più intolleranti. L’avanzamento della scienza e della tecnologia fa sentire l’uomo “onnipotente” , ma alcuni fatti, che evidenziano sconfitta, lo fanno ricredere. L’uomo di oggi, così, si accorge che quasi non riesce più a controllare tutti gli strumenti tecnologici da lui costruiti, a tal punto che gli sfuggono di mano. Tanti politici, inoltre, spesso per mantenere il potere, usano la menzogna come strumento di comunicazione verso la gente e la politica sembra diventata, per causa loro, “artificio della menzogna” e non servizio sociale disinteressato. Nasce per questo un forte anelito di sincerità e genuinità in questa società malata di ipocrisie e incrostata di menzogne.
Il senso dell’angoscia davanti alle contraddizioni dell’uomo, ai suoi limiti e alla morte fa senza dubbio soffrire, ma suscita anche un anelito al rinnovamento interiore, all’amore agapico, il solo che può trasformare veramente l’uomo e la società, rendendoli più giusti ed umani.
L’ anelito alla nudità dei sentimenti contro i tanti mascheramenti, a cui ci inducono gli strumenti di comunicazione di massa, e un forte desiderio d’innocenza , contro la stratificazione e le incrostazioni del male causate dal peccato, sono vie da percorrere per recuperare la nostra autentica dimensione umana.
La potenzialità tecnologica distruttiva dell’uomo di oggi e la difficoltà di cambiare, causata anche dall’incomunicabilità in mezzo a tanto blaterare, ci appiattiscono, sfiduciati, nell’ignavia e nell’impotenza.
Un fiume, che scorre nella notte, diventa metafora del mistero della vita umana e della storia. Si avverte un senso di paura e di sgomento davanti alla forza smisurata della natura, ma ancor più davanti alle potenzialità distruttive dell’uomo. La maschera diventa un “utile strumento” per inserirsi in modo vantaggioso nella società, ma lacera interiormente l’uomo, perché egli si accorge di avere perso la sua identità.
L’ anelito a risorgere, a uscire dalla dispersione e dall’impotenza, può venire dalla fede che non è solo credere nel trascendente, ma anche credere nell’uomo in quanto uomo, nei suoi valori trascendentali, universali. Questi anche naturalmente si possono riconoscere, perseguire e conseguire.
Questo anelito è rappresentato in alcune poesie con delle metafore , come i germi nuovi, il vento, la libertà, la natura che si risveglia, il volo degli uccelli, l’acqua limpida che sgorga da una sorgente, la musica che ti fa avvertire sensazioni indefinite/infinite le quali esprimono vita ed aspirazione all’eterno. La musica in simbiosi con la luce diventa forza suprema che tutto ricompone nell’armonia e nella pace, e ci trascina e ci innalza al mistero di Dio.
(Giacomo Barbalace – 25 febbraio 2008)